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Le dichiarazioni di terzi nel processo tributario

Quello tributario è un processo essenzialmente documentale in cui, fin dalla Legge delega per la riforma del processo (art. 30 L. 413/91), era prevista l’esclusione della prova testimoniale e del giuramento, esclusione poi effettivamente ripresa e prevista dall’art. 7 D.Lgs. 546/92.
Entro certi limiti si ritiene ammissibile la confessione, sia giudiziale che stragiudiziale mentre per altri versi la dottrina non ritiene possibile esperire l’interrogatorio formale finalizzato a provocare la confessione giudiziale. La consulenza tecnica d’ufficio invece è ammessa ma non costituisce un vero e proprio mezzo di prova ma uno strumento di convincimento del Giudice.

 

Di conseguenza, quella documentale rappresenta il mezzo di prova principale se non esclusivo del processo tributario. L’acquisizione di dichiarazioni di soggetti terzi ha acquisito sempre maggiore rilevanza e diffusione rispetto alle parti del giudizio e queste dichiarazioni entrano di fatto nel processo con modalità differenti, a seconda che interessato all’acquisizione delle stesse sia l’Amministrazione oppure il contribuente.
Sull’ammissibilità delle dichiarazioni di terzi quale prova o elemento di prova nel processo tributario, si è a lungo dibattuto al fine di valutare se l’ammissibilità non costituisse violazione del richiamato divieto di prova testimoniale sancito dell’art. 7 D.Lgs. 546/92.
L’evoluzione giurisprudenziale ha portato nel corso del tempo in primo luogo a ritenere ammissibili le dichiarazioni di terzi, sia allegate dall’AF che dal contribuente, ritenendole ontologicamente differenti dalla prova testimoniale assunta in giudizio per la valenza probatoria.
Infatti, alle dichiarazioni di terzo viene riconosciuta natura di elemento indiziario, non idoneo di per sé a costituire prova dei fatti rappresentati, potendo soltanto concorrere, insieme ad altri elementi, a formare il convincimento del giudice. Unica eccezione si può ravvisare nel caso in cui abbia contenuto confessorio che integra non un mero indizio ma una prova presuntiva (art. 2729 c.c.), idonea da sola a essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento (Cass. 5 giugno 2015 n. 11630).
Se la giurisprudenza è sorta soprattutto in relazione alle dichiarazioni di terzi prodotte dall’Amministrazione finanziaria in quanto assunte, ad esempio, dalla polizia giudiziaria o dai verificatori in sede di verifica, si è poi pronunciata altresì sulle dichiarazioni prodotte in giudizio dalla parte privata cosicché nel pieno rispetto della parità delle parti nel processo deve essere ammessa l’introduzione indiziaria nel processo tributario di dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale sebbene esse non siano assunte o verbalizzate in contraddittorio (Cass. 5 dicembre 2012. n. 21812).

In definitiva, il contribuente può produrre in giudizio, con valenza indiziaria, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata da un terzo, che deve essere valutata dal Giudice insieme ad altri elementi. Su questo la Cassazione si era già espressa ritenendo che le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà sono ammissibili, non possono costituire prove della verità del loro contenuto ma semplicemente indizi, valutabili in relazione agli altri elementi acquisiti non potendo costituire da sole il fondamento della decisione (Cass. SU 9 dicembre 2015 n. 24823 e Cass. 13 giugno 2016 n. 12053). Parimenti, si è ritenuta ammissibile, sempre con valore indiziario, la dichiarazione resa in un processo civile quale prova testimoniale (Cass. 21 gennaio 2008 n. 1164). Le informazioni acquisite in sede di verifica possono essere utilizzate ai fini dell’accertamento anche se rese dal contribuente indagato per reati tributari, senza la presenza di un difensore (Cass. 31 gennaio 2013 n. 2352).

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